La produzione dei chip

A. Costantini | (La videolezione) I chip hanno segnato la crescita esponenziale dei sistemi elettronici così come li conosciamo oggi: nel 1965, Moore formulò un’osservazione empirica, prevedendo che il numero di componenti per circuito integrato sarebbe raddoppiato ogni due anni (circa), portando ad una crescita esponenziale. Dall’osservazione della crescita del numero di transistor per microprocessore negli ultimi 50 anni, si nota come la legge di Moore sia stata seguita nonostante molti si aspettassero un rallentamento della capacità di integrazione dei componenti all’interno dei chip. Il transistor è uno dei componenti di base per la realizzazione dei circuiti integrati: la capacità di integrare sempre più transistor nello stesso spazio è stato essenziale per la realizzazione di microprocessori sempre più potenti, veloci e capaci di svolgere funzioni complesse come quelle a cui siamo abituati oggi. La capacità di realizzare circuiti integrati con miliardi di transistor non è però di per sé sufficiente a spiegare la rivoluzione a cui tutti stiamo assistendo: se fare un chip richiedesse ingenti risorse avremmo pochi super computer al mondo, come accadeva negli anni ’60, e invece quello che ha accompagnato la crescita dei circuiti integrati è stata l’ottimizzazione del processo di produzione, con la stampa di milioni di unità a costi così bassi che ormai tutti i dispositivi che utilizziamo ogni giorno fanno uso di microprocessori e microcontrollori per svolgere funzioni sempre più specializzate. 

Un circuito integrato viene ottenuto da un processo litografico in cui uno strato semiconduttore viene inciso ad una scala vicina al miliardesimo di metro. In effetti, il progressivo miglioramento dei sistemi produttivi ha sostenuto nel tempo la legge di Moore, stampando con sempre maggior precisione componenti sempre più piccoli. Si potrebbe essere tentati di pensare che si possa progredire in modo indefinito, ma il modo fisico ha i suoi limiti. I circuiti sono alimentati da elettroni che interagiscono a livello atomico. È importante allora ricordare che un nanometro corrisponde a 10 Armstrong, cioè a solamente dieci volte il raggio di un atomo di fosforo. La miniaturizzazione sta quindi raggiungendo scale atomiche rendendo sempre più difficile progredire: questo non impedisce di realizzare chip di maggior superficie, per continuare, ad esempio, ad incrementare il numero di transistor impiegati. Nel processo di base, una sorgente luminosa interagisce con un sostrato alterandone le proprietà, e con una maschera è possibile “incidere” la superficie usando la luce. Il processo di miniaturizzazione fa uso di lenti per proiettare un reticolo su un wafer di silicio verniciato con un materiale fotosensibile, alterato per “disegnare” i componenti sulla superficie. Un reticolo viene usato come stencil (stampino) per controllare le porzioni illuminate del wafer.  Quello che rende il processo molto complesso sono le dimensioni in gioco, tutte vicine a scale atomiche, che rendono molto difficile focalizzare la luce assicurando la necessaria precisione perché il circuito risultante funzioni. Il processo litografico stampa più microchip su un singolo wafer, i vari chip vengono poi tagliati e collegati ai connettori che saranno usati per inserirli sui circuiti stampati.  Come spesso succede in settori molto specialistici vi sono attori sconosciuti al grande pubblico che realizzano macchinari per la creazione dei chip. Non sempre è necessario ricorrere al processo produttivo a 5nm, in molti casi distanze meno estreme possono essere sufficienti per la realizzazione di circuiti integrati con specifiche funzioni, tagliando di conseguenza i costi dovuti all’utilizzo di macchinari estremi. L'azienda olandese ASML è una delle poche che realizzano sistemi di fotolitografia per chip impiegando i raggi ultravioletti (che hanno una lunghezza d’onda inferiore rispetto ad altre bande luminose) nella tecnologia extreme ultraviolet lithography (EUV). Si tratta di macchinari complessi, della dimensione di un autobus, che operano nella più totale assenza di polveri che potrebbero alterare il processo di stampa. Non si tratta di macchinari economici, un apparato per la stampa EUV può costare intorno ai 150 milioni di dollari, e vengono acquisiti da ditte come TSMC, che a loro volta le usano per realizzare chip per compagnie note come nVidia, Apple, Intel e molti altri. Così come accade in altre industrie, anche nel mondo dei chip è necessaria la stampa in enormi volumi per ammortizzare gli investimenti necessari alla produzione. Ma come si organizzano 50 miliardi di transistor? Le macchine litografiche per la stampa dei circuiti integrati sono alla base di processi complessi di design di unità funzionali che vengono “compilate” in schemi elettrici, ottimizzate da software molto complessi per generare il reticolo che viene poi effettivamente utilizzato per la stampa vera e propria. Ecco, quindi, che sempre più spesso aziende che tradizionalmente non realizzano processori hanno cominciato a disegnare i propri: Apple con i nuovi processori ARM, Microsoft, pare, con un proprio processore e Amazon per realizzare i processori usati su una parte del cloud AWS. Questo spostamento del design verso compagnie che tradizionalmente compravano chip già pronti per realizzare i propri prodotti è un effetto della grande complessità nel design necessaria per l’organizzazione di così tanti componenti. In questo senso la possibilità di acquisire la licenza delle istruzioni dei processori ARM ha consentito l’allargarsi degli attori che progettano chip scardinando il tradizionale oligopolio di Intel, AMD, e Qualcomm per citarne alcuni.