Meccanica dei robot industriali

A. Costantini | (la videolezione) L’utilizzo di sistemi automatici in ambito industriale è sempre più diffuso. Infatti, questi sistemi portano numerosi vantaggi, tra cui un minor costo di produzione, una migliore ripetibilità e precisione nelle lavorazioni e la sostituzione dell’operatore umano in azioni che possono essere pericolose o dannose o eccessivamente ripetitive. I robot industriali, o manipolatori, permettono a un sistema automatico di interagire con l’ambiente circostante in modo autonomo. La struttura meccanica o catena cinematica aperta (o più semplicemente braccio) di un manipolatore robotico è costituita da una serie di corpi rigidi (link) interconnessi da articolazioni meccaniche i giunti (joint). Un’estremità della catena è costituita dalla base, fissata a terra. Al termine dell’ultimo link c'è l’organo terminale (end effector), che può essere una pinza (gripper) oppure uno strumento di lavoro (tool). L’articolazione meccanica tra due link consecutivi può essere realizzata mediante due tipi di giunti: prismatici o rotoidali, responsabili della mobilità del robot. Un giunto prismatico crea un moto di traslazione tra i due link, mentre un giunto rotoidale genera un moto di rotazione. In una catena cinematica aperta ogni giunto prismatico o rotoidale fornisce alla struttura un singolo grado di libertà (in inglese degree of freedom, abbreviato DOF), di conseguenza il numero di giunti determina il numero di movimenti che il robot può compiere. Il concetto di grado di libertà è di fondamentale importanza nella robotica, poiché il compito che può essere eseguito da un manipolatore è strettamente legato al numero di gradi di libertà distribuiti lungo la struttura meccanica. Ad esempio, se vogliamo che il robot sia in grado di posizionare ed orientare un oggetto in modo arbitrario nello spazio tridimensionale, saranno necessari 6 gradi di libertà (6 DOF): 3 per posizionare l’oggetto e 3 per orientarlo rispetto ad un sistema di coordinate di riferimento. Questo è il motivo per cui la maggior parte dei robot industriali presentano 6 giunti e 6 link. Se il numero di gradi di libertà di cui è dotato un robot è maggiore del numero di gradi di libertà effettivamente necessari per eseguire un certo compito, il manipolatore si dice ridondante. Lo spazio di lavoro (workspace) rappresenta quella porzione di ambiente accessibile dall’end effector del manipolatore.  Per poter utilizzare in modo efficiente un robot di qualsiasi tipologia, bisogna poterne programmare i movimenti e prevedere come esso reagisca a stimoli esterni. Per fare ciò è essenziale lo studio della cinematica del manipolatore. La cinematica diretta permette di individuare, conoscendo la configurazione dei giunti, la posa dell’end effector ( l’insieme delle informazioni di posizione e orientazione prende il nome di posa); mentre la cinematica inversa permette di individuare una o più configurazioni che assegnate ai giunti permettono all’end effector di raggiungere una determinata posa. L’esecuzione del moto dei giunti richiede basse velocità e alte coppie. Questi requisiti non permettono di sfruttare in modo efficace le caratteristiche meccaniche dei servomotori, che al contrario producono elevate velocità e basse coppie in condizioni operative ottimali. La funzione di un organo di trasmissione è quindi di rendere compatibili velocità e coppie dei motori e dei carichi movimentati e di realizzare il trasferimento di coppia meccanica dagli uni agli altri. Gli organi di trasmissione permettono inoltre di migliorare le prestazioni statiche e dinamiche alleggerendo la struttura meccanica attraverso il posizionamento dei motori alla base del robot. Le trasmissioni tipicamente adottate nei robot industriali sono: le ruote dentate (che consentono la rotazione/traslazione dell’asse di rotazione), le coppie vite-madrevite (che convertono il moto rotatorio in traslatorio), le cinghie dentate e le catene (che consentono di dislocare il motore rispetto all’asse del giunto), gli alberi di trasmissione e gli harmonic drive. Questi ultimi in particolare sono riduttori molto usati in robotica per le loro doti di compattezza e per il gioco ridotto.  Nell'industria spesso sono utilizzati i manipolatori antropomorfi a polso sferico, dotati di sei giunti. Il nome antropomorfo deriva dal fatto che essi presentano una struttura che in parte ricorda quella del braccio umano. Il polso viene definito monocentrico quando gli assi degli ultimi tre giunti si incrociano in un punto. I primi due giunti solitamente vengono chiamati giunti di spalla; il terzo giunto di gomito e gli ultimi tre giunti compongono quello che è chiamato polso.

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Da qualche anno sono stati introdotti, sempre in ambito industriale, dei particolari manipolatori chiamati robot collaborativi. Le caratteristiche di un robot collaborativo, anche chiamato Cobot, dalla contrazione del nome in inglese Collaborative Robot, permettono la compresenza nella stessa area di lavoro di operatore umano e robot e lo svolgimento contemporaneo di uno stesso compito. Naturalmente occorre dare all’essere umano il libero accesso allo spazio di lavoro del robot e la possibilità di interazione con questo, garantendo le condizioni di sicurezza all’operatore stesso. Si possono così sfruttare contemporaneamente sia le caratteristiche proprie dell’uomo sia quelle del robot, migliorando così la flessibilità, la produttività e la qualità della produzione. Per rendere l’ambiente di lavoro più confortevole per l’uomo, si può cercare di non far compiere al manipolatore operazioni improvvise o a velocità troppo elevata. Per far sì che l’operatore umano abbia percezione di sicurezza il robot dovrebbe assumere delle configurazioni che siano più simili a quelle umane affinché i suoi gesti non siano del tutto imprevedibili da parte dell’essere umano.